Lo sguardo

Mi diressi verso il portone alzando il bavero della giacca. Quella mattina di dicembre era umida e fredda.
Entrai dal cancello che, come succede spesso nelle case popolari della periferia milanese, era spalancato. Salii le scale buie per raggiungere il secondo piano e vidi che aspettava all’ingresso per accogliermi. Non ero mai riuscito a capire come, ogni volta, sapesse che stavo arrivando.
Tenne aperta la porta e con il consueto gesto mi invitò a prendere posto.
Tolsi la giacca e cercai di sistemarmi tra le pile poco stabili dei libri e dei documenti che ammucchiava da anni nel piccolo monolocale.
Andò nel cucinino e, come sempre, mi porse una tazzina di caffè senza nemmeno che avessi avuto il bisogno di chiederlo.
Sorseggiai la mistura bollente e lo guardai da sopra la tazzina.
Mi scrutò col solito sguardo sornione che ben presto si trasformò in un’espressione quasi perplessa. Sembrava quasi volersi scusare.
“Non so come sia potuto accadere” disse. Si voltò e si mise ad osservare dalla porta-finestra le auto che sfrecciavano in via Lorenteggio.
In quel momento fissai la sua schiena senza riuscire a trovare le parole adatte.
“Avevi notato qualcosa di strano?” domandò all’improvviso.
Si girò e la sua occhiata mi penetrò nel profondo.
Negai con un cenno della testa. Ero sincero.
Il silenzio si fece di piombo. Finimmo le nostre cicche spiaccicandole nel piccolo piattino che fungeva da posacenere.
Il fumo danzava lieve sul soffitto disegnando forme voluttuose…
Mi svegliai improvvisamente in un bagno di sudore. Avevo ancora davanti agli occhi quello sguardo acuto. Non avrei mai potuto dimenticarlo.

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