Spenser, chi era costui?

Rimango talmente impressionato dalla lettura di un libro giallo che, quando lo poso, cancello le impronte digitali”-
Carlo Dapporto

Spenser… Spenser: chi è mai costui?, potreste chiedervi, dopo aver letto il titolo di questo contributo, parafrasando il manzoniano don Abbondio, uno che, di sequestri, di intimidazioni e di minacce, in fondo s’intendeva non quanto il defunto Totò Riina, ma quasi.
Rispondiamo sùbito al vostro interrogativo: Spenser è il protagonista dei romanzi polizieschi di Robert B. Parker, un “giallista” ed accademico statunitense, nato a Springfield nel settembre 1932 e morto a Cambridge il 18 gennaio 2010, vincitore dell’Edgar dei Mistery Writers of America.
Robert B. Parker deve la sua notorietà al fatto che, nel 1989, a trent’anni esatti dalla scomparsa del mitico scrittore Raymond Chandler, si vide affidare il proseguio di Poodle Springs Story, vale a dire quello che avrebbe dovuto essere l’ottavo romanzo con Marlowe protagonista se Chandler, privo probabilmente di ispirazione, non avesse gettato la spugna. E cioé se stesso. Poiché beveva proprio “come una spugna”, dovette abbandonare l’abbozzo di storia già scritto (una decina di pagine) dove si apprendeva che il suo investigatore aveva finito per sposare la ricca milionaria Linda Loring Potter e per seguirla nella di lei ricca casa, a Palm Springs.
Parker lascia intatti i primi quattro scarni capitoli scritti da Chandler, per proseguire con una storia che non si capisce con precisione in quale epoca sia ambientata.
Ma qui ci fermiamo, per non togliere il gusto della lettura a chi si sarà lasciato incuriosire dalla nostra breve digressione.
Tornando a Parker, c’é da dire che si occupò anche del secondo romanzo incompiuto di Chandler: Forse sognare. Che è ambientato dopo Il grande sonno, il primo romanzo di Chandler, quindi presumibilmente intorno ai primi anni ’40.
Forte della sua esperienza ad un tempo di collega ed “imitatore” di Chandler e di scrittore di romanzi riconducibili alla tradizione dell’hard boiled school, Parker è anche autore di un saggio che contiene un giudizio, una valutazione meno scontata delle solite, su quella figura del detective, se vogliamo, alla Soriano, “triste e solitario”, che rappresenta un po’ la caratteristica del “giallo d’azione”. O meglio: una delle caratteristiche, perché, non precisarlo, significherebbe dimenticare colpevolmente personaggi come Poirot, Nero Wolfe e lo stesso Sherlock Holmes…
Ne “Marx e i detectives”, pubblicato per la prima volta in Italia nel Giallo Mondadori, Parker osserva che: “L’eroe hard-boiled appartiene non alla tradizione marxista ma a quella cavalleresca (tradizione che condivide in questo paese con l’eroe del West).
Non fa parte della gente; è solo. Le sue imprese sono affermazioni solitarie. Egli aderisce ad un codice morale privato, senza il quale nessun altro codice ha senso per lui. E riafferma costantemente il suo codice il suo codice per conto di gente che non ne ha uno.
E’ l’ultimo gentiluomo, e per rimanere tale deve spesso lottare. A volte deve uccidere…” ( Marx e i detectives, di Robert.B. Parker, in Il Giallo Mondadori n.1630).
In definitiva, dunque, per Parker l’investigatore privato protagonista pressoché assoluto della detective story, rappresenta una sorta di personificazione della cosiddetta “ideologia della frontiera” yankee. Vale a dire l’ideologia dell’Eroe che lotta per la Verità e per la Giustizia agendo in un mondo corrotto, ipocrita, marcio e decadente a rischio anche della propria vita; che si scontra con un Nemico, per molti aspetti più forte di lui ma che, alla fine, viene sconfitto perché il Bene prevale sempre sul Male. E l’Amerikkka “su tutto e tutti”, aggiungiamo noi.

Un’interpretazione, quella di Robert B. Parker, sicuramente affascinante. Soprattutto perché si sforza di attribuire una dignità culturale, un risvolto ideologico, a cose (il “romanzo giallo”) e a figure (il detective privato) che, in realtà, hanno, a giudizio di chi scrive, caratteristiche di tutt’altro genere.
L’interpretazione di R.B. Parker si fonda, infatti, sull’arbitrarietà dell’operazione che consiste nel generalizzare, nell’assolutizzare, il giudizio che Raymond Chandler esprimeva, nei propri saggi, sulla figura sì del detective privato, ma di un detective privato specifico: il Philip Marlowe dei suoi romanzi più famosi.
E’ il detective privato Philip Marlowe “l’ultimo gentiluomo”, il simbolo personificato ed un po’ decadente della “ideologia della frontiera” made in USA: Philip Marlowe, non l’investigatore privato in generale.
Piuttosto che un eroe appartenente alla “tradizione cavalleresca” che arriva dal Far West e che rimanda all’immaginario mitico della cultura yankee o un “gentiluomo” con la pistola nella fondina anziché la gardenia all’occhiello, il detective è innanzitutto un poliziotto, uno sbirro. Lo si idealizzi finché si vuole, ma pur sempre uno sbirro, il braccio armato dello Stato, della cui violenza istituzionalizzata e legalizzata egli rappresenta comunque un’appendice, un’emanazione, più o meno indiretta. Il detective del romanzo poliziesco non agisce per “motivi morali” o per ideali: si mette al lavoro solo se viene pagato e solo se qualcuno lo paga per farlo. In caso contrario, la sua pistola resta ad oziare nel fodero sotto-ascellare. Ma quale “eroe solitario”, ma quale “raddrizzatore di torti”, ma quale “giustiziere della notte”…!

Se il detective privato dell’hard boiled school personifica qualcosa, personifica l’ideologia (usiamo qui il termine nella classica accezione marxiana di “coscienza capovolta”) yankee dell’uomo violento che vive in un mondo di violenti; del “giustiziere solitario” che tanto piace a Salvini e alla sua mandria leghista, entrambi inconsapevoli del fatto che anche i “giustizieri solitari” non sono mai tali, dovendo/potendo contare sulla protezione/complicità degli apparati statali.
Perché, come ci è già capitato di accennare, il detective privato, piuttosto che la personificazione dell’Eroe della Frontiera, è prima di tutto uno sbirro, privato sì, ma uno sbirro.
Che opera in una società violenta, che si muove in un “mondo poco fragrante” ma che è poi “il mondo in cui viviamo”(Chandler), in cui la violenza è talmente quotidiana e diffusa da esaurire l’intera realtà: nel romanzo poliziesco d’azione non ci sono né cultura né poesia né amore né banalità “da vita quotidiana”: né impiegati dell’ufficio postale o comunale né fabbriche, né impiegati, né capi-ufficio né agenti delle tasse né netturbini né esami medicini di routine
Niente di tutto questo: solo azione.
Perché, come sottolineava anche Marx riprendendo Goethe, in principio c’era l’Azione.
Non, come farebbe comodo e piacere a Trump e canagliume al séguito, la Frontiera, l’Eroe Solitario, il Raddrizzatorti, e via folleggiando…

Luca Ariano

Maggio 2019

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