Colpo di fulmine

Milano N-E

Una sera limpida come quella non la si vedeva da tempo. Il cielo imbrunito del tramonto era una tavolozza di colori che l’inquinamento provvedeva a rendere ancora più sfavillanti. La lieve brezza che soffiava su Milano, poi, rendeva l’aria respirabile e contribuiva a mescolare innumerevoli fragranze che inondavano le vie della città di tutti gli odori del mondo.
Tuttavia in quel momento Milano non si godeva l’inaspettata boccata d’aria. Continuava imperterrita a specchiarsi nella consueta versione nevrotica, quella del tutti contro tutti che caratterizza il modo di vivere meneghino.
Gran parte della cittadinanza laboriosa era stanca e stressata dalla dura giornata di lavoro sia che si trattasse di pigiare le dita su un computer, sia per riciclare risposte posticce da inviare via mail o ancora per fregare i clienti che entravano in negozio.
Tutti si affrettavano a ritornare al proprio rifugio per godersi il meritato riposo. Una pausa che sarebbe durata giusto il tempo per ricominciare da capo il giorno dopo.
Nello stesso momento quelli che non ne avevano ancora avuto abbastanza si mischiavano alla canea di universitari e agli stranieri dal bicchiere facile. Girovagavano a gruppi cercando un drink dal nome esotico e qualche pietanza avanzata per presenziare al tipico aperitivo milanese. Come fossero loro stessi la bevanda, correvano a riempire le zone del divertimento che traboccavano di umanità varia.
Quindici metri sotto terra, senza badare a nessuno, la metropolitana percorreva avanti e indietro i binari trasportando chiunque volesse farlo. Attraversava quel complesso sistema di cunicoli scavati solo per lei. Procedeva con la stessa sicurezza della talpa nel proprio regno.
In uno di quei vagoni strapieni Riccardo si guardò intorno con un misto di curiosità e di raccapriccio.
“Non ne posso più di questa città” pensava tra sé.
Osservava quel miscuglio di razze con bonario disprezzo. Storceva il naso davanti a tutti gli ebeti senza differenza d’età e di religione che pucciavano il muso nel loro apparecchio tecnologico di nuova generazione.
Automi senz’arte né parte che si beavano nella visione di un video insulso fatto in casa oppure trastullandosi senza ritegno sull’ultimo giochino alla moda.
Quegli oggetti animati erano stati distribuiti per allontanare i riflettori dalla realtà e trasportare la vita della massa in un mondo fittizio. Toglievano ogni strumento di difesa. Ognuno per sé. Rinchiusi nel proprio baccello senza alcun accenno di ribellione. Nessuno sguardo rivolto alla collettività. Solo la propria solitudine riflessa in una luce azzurrognola.
Riccardo era a pezzi. Viveva quel periodo con delusione che sfociava in disperazione nelle notti insonni passate a rigirarsi tra le lenzuola. Solo. Vedeva tutto nero.
Cristina l’aveva lasciato da qualche mese e lui non riusciva più a stabilire alcun contatto umano tanta era la delusione. Era stata una relazione lunga, non banale. Di quelle che si sarebbe immaginato potesse durare per tutta la vita. Poi d’improvviso un giorno era arrivata la doccia gelata.
“Ho capito di aver sempre amato Rocco. Scusami.” gli aveva detto Cristina. Semplicemente, senza fronzoli.
Aveva fatto le valigie in meno di mezzora ed era sparita dalla sua vita.
Quel colpo improvviso aveva cambiato i suoi rapporti col genere umano. Ora lo respingeva con disprezzo.
Viveva il rincoglionimento di massa, che prima l’aveva sempre sfiorato, con la stessa frustrazione della casalinga cui hanno consigliato il detersivo sbagliato.
Che fosse il caso di trasferirsi in un posto deserto o, per lo meno, poco popolato?
Riccardo rimuginava di continuo e tentava di decidersi a compiere un qualunque passo che lo distogliesse dalle proprie frustrazioni.
Improvvisamente, come nel colpo ad effetto di una sceneggiatura teatrale riuscita, il palcoscenico cambiò radicalmente.
Riccardo fu attirato da un angolo della carrozza su cui viaggiava. Gli apparì un viso, i tratti di un angelo in mezzo a un branco di demoni.

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