Aspetterò

Una recensione

Raymond Chandler, uno degli scrittori che ti riconciliano con l’immagine di un’America che non potrà mai più riproporsi, è giustamente considerato uno degli scrittori più rappresentativi dell’ hardboiled school. Cioè di un genere letterario a tutti gli effetti, a scorno dei pretesi “puristi” a parere dei quali sono Letteratura, per citare solo un caso, i romanzi “alla Liala” di Susanna Tamaro  e non quelli di Dash Hammett, di Jim Thompson e, per l’appunto, di Raymond Chandler. Un genere letterario, lo ribadiamo, non una ramificazione della pornografia, come credono gli ignorantoni suggestionati dalla parola hard che compare nella definizione.
Ma ritorniamo “in più spirabil aere”, cioé a Chandler. La sua produzione, pur non essendo sterminata consiste soprattutto in romanzi (chi non ha mai letto o visto al cinema “Il grande sonno”?).
Eppure, a costo di apparire eccentrici,  a parer nostro il meglio di sé, se vogliamo usare questo modo di dire forse abusato, Chandler lo ha espresso nei racconti brevi.
In uno in particolare: quello di cui tratteremo (immodestamente) qui di séguito.
“Aspetterò” (I’ll Be Waiting) è un racconto – comparso per la prima volta sulle pagine del Saturday Evening Post il 14 ottobre 1939 – che ha per protagonista non il mitico Philip Marlowe (il personaggio chandleriano noto forse persino ad un qualunque mostro di ignoranza) ma un poliziotto privato d’albergo. “Tony Reseck è un ometto d’origine polacca, piccolo, di mezz’età, panciuto, occhi grigio mare e belle dita da prestigiatore” (O. Del Buono, Introduzione a Raymond Chandler, La semplice arte del delitto, Feltrinelli)
Dopo l’una di notte, l’atrio dell’albergo è di solito il suo regno. Questa sera, però, Reseck non é solo: c’è una ragazza dai capelli rossi che non riesce a dormire e che indugia davanti alla radio. Reseck s’interessa a lei: c’è qualcosa che non torna in questa ragazza. E un po’ in tutta la situazione. Lui è un uomo cauto; e, quando qualcuno dai modi troppo sbrigativi lo chiama fuori dell’albergo per chiedergli della ragazza, qualcuno che ha con sé una vera e propria masnada di sicari, lui si piega alle minacciose richieste dello sconosciuto. Assicura che allontanerà dall’albergo la ragazza, che lo farà perché non vuole guai, pronto ad abbandonarla in balìa di chi le sta dando la caccia. Lo dice, ma non lo fa.  Resta piuttosto ad aspettarli, accanto alla ragazza che finalmente si è addormentata. E che continua a dormire, immobile, in quell’abbandono raccolto di molte donne e dì tutti i gatti, il respiro impercettibile, sommerso dal mormorio della radio. Reseck, si appoggia  alla spalliera d’una sedia e chiude tranquillamente gli occhi.
Il racconto di Chandler ha numerose chiavi di lettura, come tutte le opere di valore, come tutti i capolavori, piccoli o grandi che siano.
Può essere letto infatti come un’esaltazione, intrisa di malinconia, del coraggio civile, di una dote cioè che le ultime generazioni, ormai irrimediabilmente devastate dal cretinismo dell’ideologia borghese del successo a tutti i costi; dell’ignoranza eretta  a merito e a vanto; dell’assenza rivendicata con “orgoglio” di ideologie-forti ereditata da genitori-falliti in cerca di riscatto economico e di riconoscimento sociale dopo il crollo dei progetti di trasformazione rivoluzionaria della società; di perdita del senso della dignità e dell’onore, oltre della coerenza personale, a rischio di sacrifici e di costi oggi giudicati affatto insopportabili.
Per farla breve, Tony Reseck, in fondo un semplice “sbirro dell’albergo”, è tutto ciò che le nuove generazioni non potranno, e non solo perché non vogliono, mai essere: hombres verticales, per dirla in lingua spagnola. E cioè uomini coraggiosi, valentes, pronti a sfidare il destino senza che il denaro, il successo professionale ed il prestigio sociale (l’altro modo di definire il conformismo) rappresentino altrettanti canti seduttivi ed ammalianti delle sirene omeriche.
Aspetterò, tuttavia, è anche un racconto d’atmosfera.
L’atmosfera di un’America senza K, essendo ancora  relativamente lontani gli anni cancerogeni del Vietnam e delle ripetute aggressioni criminali dell’imperialismo a stelle e strisce; dell’America dei film in bianco e nero con Edwad G. Robinson, Cary Grant (l’attore che Raymond Chandler in persona avrebbe scelto per interpretare Philip Marlowe se solo avesse avuto l’opportunità di farlo) e Humphrey Bogart, del Proibizionismo, del gangsterismo, del jazz, dei blues, (ma anche, non va per niente taciuto, del maccartismo, della nazisteggiante ed anti-comunista “caccia alle streghe”)…Di uomini e di squarci di vita così mirabilmente ritratti nei quadri di Edward Hopper, una delle cui opere introduce questo breve saggio..
Un’America in crisi. E non a caso:  perché è soltanto, o – se preferite – soprattutto, nei momenti di crisi economico-sociale che certe società riescono ad esprimere, a far emergere, quello che di “buono” circola, se circola, nelle loro vene.
Quell’America, ovviamente, non c’è più. E mai più ritornerà.
Ed è anche per questo che essa si ritrova avvolta dalla nostalgia, dal rimpianto di quello che è stato e che non si riproporrà perché irrimediabilmente imprigionato dalle catene del passato.
Non esiste più quell’America e non esistono più personaggi come il protagonista di Aspetterò.
Quel Tony Reseck che non è il mitico Philip Marlowe, ma che, al pari del suo ben più noto collega, si muove in un mondo che dovrebbe essere cambiato ma che, soprattutto ai nostri infelici e sciagurati giorni, nessuno fa qualcosa per cambiare.
Un mondo, oggi come allora, popolato da “morti viventi” che si sono gettati alle spalle la coscienza; e per i quali l’unica cosa che veramente conti è l’avidità personale in tutte le sue repellenti e distruttive forme. Individui che uccidono, rubano, mentono, sfruttano, ben consci di farlo. E che, come una colonia batterica, si riproducono incessantemente, così da infettare l’intera società  infettando se stessi.

Luca Ariano

15 agosto 2017

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