Un mito a Baggio vecchia

Franco Bernabei viveva a Baggio da sempre.
Lì era cresciuto. In quel paesone inghiottito da Milano dove aveva ereditato un piccolo negozietto di ferramenta da papà Renzo.
L’insegna del negozio era esposta da talmente tanto che pareva incastonata nell’edificio.
Erano passati lustri dalla giovinezza e nel frattempo Franco aveva seppellito i genitori e tutti i parenti più prossimi.
Bernabei in gioventù era stato un bell’uomo. Più alto della media, con un bel portamento e i capelli di un biondo cenere che esaltavano la mascella pronunciata. Un’espressione enigmatica che scuoteva l’indifferenza delle signore. Si era divertito sì, ma la prudenza innata gli aveva fatto schivare il pericolo di mogli e figli.
E Baggio in tutto quel tempo, a parte i casermoni popolari spuntati come funghi intorno al vecchio borgo, non era cambiata poi molto. Manteneva quel fascino che aveva sempre rapito Franco Bernabei convincendolo a non mollare gli ormeggi e rimanere ben ancorato al proprio mondo.
Era ormai qualche anno che si godeva la pensione. Il suo negozio era in gestione a dei simpatici cinesi che parlavano l’italiano con una sfumatura ariosa da bauscia.
Il tran tran quotidiano era sempre lo stesso. Bernabei frequentava i soliti locali del vecchio centro storico che si nascondeva, a quelli poco curiosi, dopo la fine di via delle Forze Armate.
La mattina passava dalla biblioteca comunale di via Pistoia, sfogliava i quotidiani e conversava amabilmente con il commesso di turno.
Prima del pranzo si sgranchiva le gambe e stuzzicava l’appetito con un giretto al Parco delle Cave. Gli piaceva passeggiare fuori orario per evitare i “caminadòr de la domènica cont i fioeu e’l cagnulin”.
A mezzogiorno in punto si presentava all’osteria del Riccardo dove pranzava al solito tavolo in compagnia di risotti, trippa e ossobuco. Dopo l’amaro di ordinanza si trasferiva di qualche metro, al bar del Gino, per la canonica partita di scopone.
Sempre con i pochi amici rimasti, quelli che ancora parlavano il dialetto che sgorgava fluente per aggiornare sulle ultime novità di rilievo, generalmente necrologi, che riguardavano i paesani.
Per rallegrare il solito spartito arrivavano puntuali le feste, i funerali e gli altri avvenimenti da non perdere. Una vita semplice, come l’aveva sempre vissuta.
Ma tutto, si sa, è destinato a finire. In quel primo scorcio del duemilaventi irruppe un giorno disgraziato proprio alla fine di un febbraio insolitamente caldo.

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