Omicidio in Riviera

Verso le sei del mattino Luca si svegliò. Aveva lasciato aperto uno spicchio di finestra e le tende svolazzavano all’aria frizzante di quello scorcio anticipato d’inverno. Si massaggiò i piedi gelati appoggiandosi allo schienale del letto.
Riuscì a prepararsi in meno di un quarto d’ora ingollando di fretta un caffè poi chiuse la porta di casa e uscì in strada.
Salutò la vedova che abitava di fronte e che sostava dalla mattina alla sera sul terrazzino delle scale rientrando giusto per i pasti.
Scese le scale salterellando, camminò rapidamente per la via quasi deserta e raggiunse il Parco Lambro.
Lo spazio verde, a quell’ora insolita, si presentava in tutti i propri contrasti. Alternava la sorpresa di alcuni angoli apparentemente incontaminati e la presenza di animali che sfruttavano l’ambiente ancora spopolato con le schifose zaffate nauseabonde del fiume.
Quei miasmi chimici provenivano dall’industriosa Brianza e chiunque avrebbero potuto risolvere il problema in poco tempo, ma nessuno faceva nulla per affrontare quella vergogna perché c’erano altri interessi in ballo.
Grazie al freddo pungente e all’assenza di vento in quel momento la puzza tormentava solo gli sfortunati che si trovavano in prossimità delle sponde.
I passanti, che fossero a piedi o in bicicletta, girovagavano per il parco seguendo il percorso interno chiuso al traffico e completavano le sessioni di allenamento domenicale.
Luca sfoggiava una felpa bicolore di una marca alla moda dieci anni prima. Si copriva con un cappuccio e aveva uno scaldacollo nero alzato davanti alla parte inferiore del viso. Mostrò una corsa imballata, frutto inequivocabile dello stile di vita che conduceva.
Procedeva tra i rari corridori intabarrati e cercava di non sprecare troppe energie.
Era giunto a metà percorso e stava per perdere le speranze quando finalmente intravide Paolo che lo stava superando. Paolo indossava un abbigliamento tecnico di prima qualità e procedeva a ritmo sostenuto.

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